Le vie del punk rock sono infinite. Eh sì, perché nel Terzo Millennio il passatempo più gettonato dalle star è quello di dilettarsi con progetti paralleli che non fanno altro che confondere le idee ai seguaci della band originaria. È il caso dei Transplants, appendice di Rancid e blink-182 con un’aggiunta originale. Il loro sound è un mix altamente originale di influenze stilistiche che, pur non abbandonando mai la strada maestra del punk rock, riescono a incorporare elementi fra i più disparati come chitarre hardcore, beat hip hop e dancehall, rime rap e – sopra a tutto – una totale dedizione allo spirito del rock’n’roll. L’idea della formazione viene a Tim Armstrong (Rancid) che, insieme all’amico Rob ‘SR’ Aston – dove ‘SR’ sta per ‘Skinhead Rob’ – comincia a fare jam session a Los Angeles nel dicembre 1999. In realtà, le intenzioni di Rob non sono quelle di entrare in una band (anche se in passato ha collaborato con gli stessi Rancid e con AFI), ma quando la mente geniale dei Rancid gli fa ascoltare un paio di tracce che aveva messo insieme su Pro-Tools, ne rimane affascinato. Così comincia a scrivere dei testi, pur essendo spaventatissimo dalla nuova avventura. Quello che ne esce piace tantissimo a Tim e i due iniziano a gettare le basi per l’album di debutto, a cui lavorano per due anni e mezzo. Ma, dopo essersi basati soltanto sul talento polistrumentista di Tim e sulle doti vocali di Rob, ricorrendo a sample e loop per la batteria, presto si accorgono che per poter incidere hanno bisogno di un batterista con le palle. La scelta del percussore di pelli ideale ricade sulla comune conoscenza Travis Barker, già nei blink-182 e Box Car Racer. Contenti dell’assestamento di line-up, i tre iniziano a dar vita alle canzoni che entrano a far parte dell’album di debutto, dal titolo eponimo, pubblicato dalla Hellcat Records nell’ottobre 2002. Con tematiche che vanno dall’omicidio (“Quick Death”) alla scomparsa della persona amata (“Sad But True”), dal fallimento di un’amicizia (“We Trusted You”) a atmosfere più festaiole (“Tall Cans In The Air”), il disco dimostra di essere frutto di varie peripezie e sofferenze della vita, che non vanno rifiutate ma esorcizzate. Coinvolgendo ospiti d’eccezione come Distillers, Nerve Agents, AFI e altri membri dei Rancid, “Transplants” possiede una spiccata venatura hip hop che nella produzione di Rancid e blink non sono mai state molto visibili. Merito sicuramente di Aston, patito del genere e determinato – in un futuro non molto lontano – a incidere un disco solista fatto di beats e rime. Il futuro del trio, d’altronde, è incerto: nessuno dei tre membri vuole considerarlo un esperimento permanente (visti già i mille impegni che hanno). Ma nulla è per sempre, no?